La seconda guerra mondiale, il passaggio del fronte dalle campagne accese la miccia del cambiamento: l’emancipazione femminile, i giovani catturati dai modelli di vita favoleggianti russi e americani, la modernizzazione vista attraverso mezzi come le riviste, cinema e televisione, scaturirono il desiderio di avere uno stile di vita moderno votato a migliorare il benessere e distante anni luce dalla vita nei poderi, facendo accrescere lo scontento generale.
Tra gli anni 50 e gli anni 70 ci fu una forte trasformazione in termini demografici del territorio del Chianti, vedendo spostarsi i contadini dalle campagne verso la città di Firenze, questo segnò un crollo demografico che portò al dissolvimento delle fattorie, vedendo costretti i proprietari delle tenute a smembrare le proprietà troppo grandi per venderne singoli lotti o a dedicarsi alla conduzione diretta facendo ricorso alla manodopera salariata.
La crisi senza eguali che il Chianti stava attraversando poteva essere sorpassata solo con un cambiamento radicale ma alquanto difficoltoso. La fine dei contratti mezzadri, l’ausilio di manodopera specializzata, la semplificazione della tecnica vinicola e la meccanizzazione delle operazioni colturali, favorirono il passaggio dalla viticoltura promiscua a quella specializzata, processo che richiedeva tempo ma soprattutto risorse. Questi fattori dominanti causarono un’importante diminuzione delle aziende agricole che si videro costrette ad abbandonare tale attività divenuta economicamente insostenibile, mentre per quelle che riuscirono a sostenere il cambiamento e la riconversione dei terreni dedicati ad altro genere di coltivazioni, alla vite, si aprirono interessanti prospettive.
I piccoli e medi coltivatori diretti si trovarono a percorrere una strada in salita dal punto di vista economico, fu allora che vennero in loro soccorso i 18 visionari che dettero vita alla cooperativa dei Castelli del Chianti Classico che permetteva la partecipazione anche delle piccole realtà.
Torna alla lista articoli