Rappresentano circa il 10% in volume della produzione annua mondiale di vino e a livello di mercato stanno vivendo una fase di grande rilancio, di crescita del livello di gradimento: stiamo parlando dei vini rosati, o meglio dei vini “rosa”, come l’Istituto l’Istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano vorrebbe venissero chiamati.
L’Istituto reclama a gran voce una dignità e una specificità per questi vini, tale da promuovere la definizione (anche a livello legislativo) di una terza categoria enologica, da affiancare a quelle dei bianchi e dei rossi.
Nonostante l’Italia sia ancora ampiamente lontana dal raggiungere i volumi produttivi di rosati che caratterizzano Francia, Stati Uniti e Spagna, da diversi anni a questa parte produzione e consumo di vini “rosa” crescono nel nostro Paese.
Di pari passo, si moltiplicano le azioni per promuovere l’identità e la riconoscibilità di questi prodotti. Degna di nota a livello mediatico è stata l’iniziativa del Consorzio di Tutela del Vino Bardolino, che la scorsa estate si è fatto promotore, presso le principali piattaforme di comunicazione, di un’istanza tanto singolare quanto simpatica: lanciare una petizione per sostenere “Pink wine”, una emoji dedicata al vino rosa e ideata dal medesimo Consorzio.
Pensare che il rosato sia una versione “light”, meno impegnativa, del rosso è un grosso errore.
Al contempo, produrre rosati gradevoli e di qualità non è semplice. Occorrono varietà di uva adatte, ambienti di coltivazione vocati, la mano sapiente e l’esperienza del viticoltore e del tecnico, la professionalità di chi trasforma le uve in cantina. Ed è dal mix virtuoso di tutti questi ingredienti che in Castelli del Grevepesa nasce Maggese Rosé, il Rosato Igt Costa Toscana da uve Sangiovese.
“Le uve vengono coltivate in vigneti specificatamente destinati alla produzione del Maggese Rosé e vendemmiate con specifiche caratteristiche compositive e di maturità, per porre in vigna le basi della qualità che verrà estratta dagli acini in cantina”, spiega Valeria Fasoli, Agronomo di Castelli del Grevepesa. “La raccolta è manuale e grappoli vengono trasportati alla lavorazione in casse piccole, per evitare schiacciamenti degli acini e preservare integre le bucce”, aggiunge.
“Una volta raggiunta la cantina, le uve subiscono due diverse pressature”, spiega Federico Cerelli, Enologo di Castelli del Grevepesa, che così descrive la produzione del Maggese Rosé di quest’anno: “Dopo aver eliminato i raspi e rotto parte degli acini, questi ultimi sono stati trasferiti in pressa chiusa. La prima uva conferita è stata lasciata in pressa una notte, per consentire la macerazione pellicolare, che porta a un’estrazione importante di colore e aromi dalle bucce. La seconda partita di uva raccolta è stata pressata immediatamente, per esaltare al massimo l’estrazione di alcoli superiori e ottenere così un liquido più fresco e vibrante. Il blend dei due succhi, posti a fermentare assieme a una temperatura di 15°C, sarà il nostro Maggese 2021”.
Noi, dunque, attendiamo che Maggese Rosé esca dalla cantina di Castelli del Grevepesa e raggiunga le nostre tavole. Dove lo potremo gustare abbinato ad aperitivi, tartare di pesce e crostacei crudi, certi di ritrovare in questo vino tutta quella “freschezza” e quella “vibrazione” che già il mosto faceva presagire.
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